Lo spettacolo
e l'universo artistico
Colucci è in scena, nei panni di uno chef italoamericano che arriva volando dall'alto, che cucinando per tutto il tempo dello spettacolo porge al pubblico da un angolo del palco aneddoti, ricette, narrazioni su New Orleans, il suo carnevale, la storia della città, la cucina cajun con tutte le sue contaminazioni (non senza citare l’uragano Katrina del 2005, momento che suggerisce una inevitabile simulazione dei tradizionali jazz funerals della Louisiana). Lo spettacolo è così metafora di un sapiente e eterogeneo dosaggio di ingredienti: al racconto si innestano clownerie, specialità classiche del nouveau cirque, quadri che hanno come riferimento l’anima collettiva del popolo durante le parate di New Orleans, in cui la mescolanza inimitabile di riti, libagioni, fantasie di maschere e gioiosa eccitazione affermano l'appetito inestinguibile per il piacere di vivere.
Per me il circo e il carnevale hanno molto in comune, non tanto per la stravaganza che li caratterizza, bensì per il fatto di essere forme di espressione altamente popolari. Come lo descrive Leo Bassi, uno dei più grandi clown nato da una famiglia circense, il circo è uno spettacolo nato dal popolo per il popolo. Personalmente lo intendo come una manifestazione di straordinarietà che riporta a una dimensione più alta le possibilità dell’essere umano distaccandolo dalla quotidianità che tende a livellare il tutto. Si va al circo per sorprendersi, per lasciarsi ispirare dal sogno, dalla fantasia che non ha limiti, così come gli artisti del circo sono costantemente a confronto con quei limiti per frantumarli in un boato di entusiasmo del pubblico.
Onofrio Colucci