Lo spettacolo
e l'universo artistico
L’universo di Alda Merini è peculiare ma solo apparentemente riconducibile agli elementi più evidenti che lo compongono e che tutti conosciamo e amiamo.
La poesia del Magnificat, in particolare, ha una compiutezza, una maturità e un’elevazione tali da imporsi come testo capolavoro, opera irriducibile persino alla grandissima umanità della sua autrice. Alda Merini è infatti presente come per assenza, sempre in filigrana, in questo mirabile poema che restituisce a Maria tutto lo spessore del suo sì.
Merini è Maria (i versi Io non fui originata, ma balzai prepotente dalle trame del buio per allacciarmi ad ogni confusione sono gli stessi contenuti ne Il testamento, opera del 1953, come a sottolineare la vicinanza tra la ragazzina che l’autrice era e la ragazza che la Madonna adolescente è) e, al tempo stesso, la sua Maria è l’altissima Madonna capace di spingersi sul baratro delle più vertiginose contraddizioni del mistero mariano: vergine e madre, serva del disegno di Dio ma di quel disegno grande attrice.
La Maria che leggiamo in questo Magnificat decide di sbilanciarsi di fronte al silenzio della chiamata che riceve: come in un quadro di Edward Hopper, dove la luce che entra dalla finestra aspetta da noi - forse invano - un significato, ecco sulla scena un'Annunciazione contemporanea, dove quella luce che si adagia sul corpo, sul letto, sul pavimento della stanza è, insieme, il bruciante annuncio dell’angelo e una proposta all’attesa di tutti.
Maria abbraccia la strada impervia dell’inconcepibile. E quella strada la proverà fino a farla diventare la più sofferente tra le donne e la sua caduta a terra / come una pietra di sogno sarà lo schianto di Dio. Invecchiata tutto a un tratto dalla sua stessa scelta, invocherà nella solitudine più estrema l’aiuto di Dio, chiedendo conto al Padre della Sua responsabilità per quella proposta incommensurabile.
E proprio in questo vertice poetico, al colmo del dolore e dell’umanità, Maria scorgerà nella sua sofferenza il senso di una possibile salvezza.
Paolo Bignamini